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La Basilicata è da sempre stata una terra bucolica, sin dai tempi remoti qui l’uomo ha vissuto di agricoltura e pastorizia e non a caso, visitando i Musei archeologici e quelli della civiltà contadina, sparsi in tutto il territorio lucano, gran parte degli oggetti esposti sono quelli legati a queste attività. Ad esempio già gli Enotri e poi i coloni Greci allevavano ovini e bovini da cui ricavavano il latte che veniva filtrato attraverso vasi di ceramica con dei piccoli buchi sul collo. O che dire delle ossa animali usate per come giochi, un esempio su tutti gli astragali, ovvero vertebre di pecore e capre usate a mo’ di dadi dai bambini? A seconda della posizione che assumevano sul pavimento dopo essere stati lanciati assumevano un punteggio diverso. Oppure un altro esempio straordinario è quello che in ormai pochissimi punti dei Sassi si ritrova, ovvero l’uso di ossa di mucche conficcate nelle mura esterne delle case ed utilizzate come sostegno delle grondaie (dalla serie non si butta nulla…).

Se gli animali hanno sempre garantito la sopravvivenza degli esseri umani, un altro aspetto fondamentale era trasformare o comunque adattare il territorio circostante all’agricolture ed all’allevamento ed a proposito di  quest’ultimo, è interessante ricordare come la Basilicata, al pari delle altre più famose regioni come la Puglia, il Molise e l’Abruzzo, è stata interessata da quel fenomeno economico e sociale ormai quasi scomparso ma ancora vivo nella memoria delle vecchie generazioni : la transumanza.

La Transumanza era la consuetudine dei pastori e dei mandriani di trasferire gli armenti (ovvero branchi di grossi animali domestici) in territorio dall’altimetria elevata nella stagione calda, o verso le pianure marine nella stagione fredda. Questa era un’attività complessa portata avanti da più attori sul territorio e che si tramandava di generazione in generazione attraverso l’esperienza e la profonda conoscenza del territorio da parte dei suoi abitanti. Il territorio era attraversato da “vie erbose”, le quali erano “infrastrutturate” per permettere un flusso migratorio degli armenti organizzato nel corso dell’anno. La parola transumanza è composta da due parole: “trans” (al di là) e “humus” (terra), parole che indicano il fenomeno della migrazione stagionale che andava “al di là della terra d’origine”.

Dura era la vita dei pastori e dei mandriani che due volte l’anno si spostavano per raggiungere i pascoli e lasciando le loro famiglie anche per mesi per adempiere ai loro obblighi lavorativi e per garantire la loro sopravvivenza e quella delle loro famiglie.

Secondo alcuni studiosi la transumanza era più antica di Roma, dal momento che diverse popolazioni come i Sabini, i Marsi, i Sanniti, unitamente ai Messapi ed ai Dauni, praticavano una pastorizia nomade, antenata della transumanza che già a partire dai Romani era considerata un’industria di stato per gli introiti fiscali che generava. Dopo la caduta di Roma questa antica pratica si perde ma riprende con l’arrivo dei Normanni nell’XI secolo attraverso leggi che tutelavano i pastori ed i mandriani. Con Federico II l’intera attività pastorale fu assoggettata ad una speciale amministrazione chiamata Mena delle Pecore di Puglia e nel 1447 il Re Alfonso I d’Aragona istituì la Regia Dogana della  Mena delle Pecore di Puglia con sede prima a Lucera e poi a Foggia. Questa istituzione era una vero e proprio organo governativo che gestiva l’assegnazione delle locazioni, stabiliva i valori dei canoni annuali di affitto per l’uso degli erbaggi da applicare ad ogni capo di bestiame, aveva il potere di  allargare le aree pascolative utilizzando le aree demaniali, oltre a gestire la rete dei Regi Tratturi e dei Tratturelli con tutte le loro diramazioni e raccordi per collegare il Tavoliere delle Puglie con i pascoli montani Lucani e Abruzzesi.

Attraversando il territorio della Murgia Materana e gli ampi pascoli di pianura e di montagna della Basilicata, ancor’oggi poco antropizzata, permette di ritrovare queste tracce antiche e di ripercorrere antichi sentieri e tratturi usati dai pastori, alcuni dei quali oggi trasformati in comode strade e superstrade per collegare i vari borghi. Per non parlare dei luoghi della transumanza: ovili, jazzi, muretti a secco a delimitare le aree per controllare gli animali e proteggerli dagli attacchi di animali feroci (in primis il lupo), masserie fortificate ma anche masserie ricavate utilizzando le antiche grotte e gli ambienti ipogei della Murgia. Addirittura antichi luoghi di culto, come diverse chiese rupestri presenti nel territorio Materano, perse le loro funzioni di culto, diventano punti di stazionamento degli armenti e dei pastori per fermarsi a riposare o a fare il formaggio per qualche giorno prima di proseguire il viaggio verso la meta finale stabilita dalla Regia Dogana: si, perché c’erano dei periodi e delle regole ben stabilite per spostarsi senza accavallarsi con gli altri armenti. Viaggiando ovunque in Basilicata ed in particolar modo sulla Murgia è possibile notare queste antiche strutture, a volte fatiscenti e seminascoste dalla vegetazione ed a volte perfettamente restaurate e tornate a nuova vita con la trasformazione in agriturismi o masserie moderne.

Oltre a pecore e capre, l’animale simbolo di questa transumanza era la mucca podolica. Questa mucca vive allo stato brado e la sua naturale adattabilità ai vari tipi di territorio ed ai cambiamenti climatici ha garantito la sua sopravvivenza e quello degli esseri umani creando un legame profondo con l’uomo che l’ha utilizzata come forza-lavoro ma anche per l’ottimo latte e suoi derivati, oltre che per la carne. Questo profondo legame è testimoniato ancora oggi sotto molti punti di vista, sia enogastronomici (formaggi di ogni tipo che sono un’eccellenza locale ovunque ci si sposti) che tradizionali. A quest’ultimo proposito, per citare due esempi di tradizioni ancora molto vive nel territorio lucano, basti pensare alle feste patronali dove gli animali vengono fatti sfilare oppure ai vari Carnevali di tanti borghi dove i costumi sono dei veri e propri travestimenti da animali con campanacci e “mandrie” di uomini che sfilano nei giorni di festa, come a Tricarico, San Mauro Forte o Montescaglioso. Altra tradizione legata ai “riti arborei” sono quelle del “Maggio” che si ritrovano nel Parco di Gallipoli Cognato e delle Piccole Dolomiti Lucane, come ad esempio ad Accettura e Castelmezzano. Durante queste feste si assiste ad un vero e proprio matrimonio tra due alberi: un cerro (detto Maggio) ed un agrifoglio per celebrare un antico rito di fertilità e di buon augurio. A partire dalla prima domenica dopo Pasqua si comincia con i preparativi per scegliere il Maggio nei boschi del parco, per continuare in quella successiva con la scelta dell’Agrifoglio nei boschi circostanti. Trasportati a spalla o con l’ausilio di buoi, durante il giorno della festa patronale gli alberi vengono benedetti e innestati l’uno sugli altri e poi scalati a mani nude dai più temerari per conquistarne la cima, un vero e proprio albero della cuccagna. Ogni borgo ha le sue varianti e tradizioni, legate anche ai piatti della cucina tradizionale che vi invitiamo a scoprire ed assaporare con calma, “slow” come si conviene qui in Basilicata!

Curiosità: la parola “armento” relativa alle grosse mandrie di buoi, cavalli, pecore e capre, è oggi un cognome diffuso nell’entroterra lucano, così come in provincia di Potenza c’è un piccolo borgo di meno di 600 abitanti che si chiama Armento, a rimarcare l’antico legame di questa terra con la Transumanza.

I prodotti della transumanza erano lana, carne e prodotti caseari. Riguardo alla lana, fondamentale per la produzione di indumenti e anche per l’esportazione, la tosatura degli animali avveniva a maggio ed era un momento di grande festa per tutta la comunità pastorale. A partire dal’inizio del secolo scorso il prezzo della lana è crollato e la produzione è andata scemando. Al contrario i prodotti caseari invece rappresentavano una voce economica consistente per l’economia locale e lo stesso dicasi di oggi perché la produzione casearia è ancora molto attiva ovunque con prodotti di alta qualità. Ad esempio ancora oggi ad Avigliano, Muro Lucano, San Fele, Pescopagano ed altri centri che possiedono ancora intatti i pascoli d’alto livello assieme ad allevamenti allo stato semibrado, producono prodotti di alto livello riconosciuti dal mercato con prestigiose certificazioni. Mozzarelle, canestrati, caciocavalli, ricotte, burrate e tanti altri formaggi stagionati vi delizieranno il palato.

La carne infine, sotto tutte le sue forme tra cui anche insaccati, era utilizzata anche per fare pelli e cuoio. A Matera ad esempio c’era un vero e proprio rione delle concerie.

 

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